Ai social media sembra affidato il ruolo di strumenti di informazione prima ancora che di comunicazione. Chiunque è divenuto fonte di informazioni e ridiffusore di notizie. Questa grande opportunità ha come effetto controproducente e purtroppo prevalente il grande spazio conquistato dalle fake news e alle post verità che in molti casi stanno costituendo un vero e proprio “nichilismo delle fonti”. Una fonte varie l’altra e sono i “mi piace” a definire ciò che vero da ciò che non lo è.

I giornali (con tutti i loro pregi e difetti) hanno da sempre garantito (almeno i migliori tra loro) la competenza del soggetto che era preposto ad informare i lettori di un certo tema. Tutte le testate più prestigiose erano dotate, ad esempio, non solo di una redazione di economia o salute, ma all’interno di queste c’era il giornalista (più) esperto di trasporti e di diete.

Questo schema è saltato non tanto perchè i giornali vendono sempre meno (ma resistono), ma perchè nel frattempo si è diffusa (sempre grazie ai social) una cultura del sospetto in base alla quale i contesti qualificati diffondono informazioni che, inevitabilmente, portano un vantaggio economico a quel gruppo di interesse, a quell’impresa o a quella multinazionale.

Il discorso è anche politico e difatti non c’è, per questa neocontrocultura,  amministratore pubblico o Istituzioneche non sia corrotto o portatore di interesse. Quindi il tema delle fake news e delle post verità è in grado di produrre danni, in termini sociali, ben oltre l’argomento affrontato.

Esse, in combinato disposto, generano inaffidabilità, tolgono punti di riferimento ed espongono “la gente” all’influenza di questo o quel flusso in cui si può inserire qualsiasi argomento.

Si tratta insomma come di un fiume in piena che investa persone non in grado di agganciarsi a dei punti sicuri con i quali valutare le informazioni.

Con il fiume viene trascinata via anche l’affidabilità e la attendibilità delle Istituzioni.

A incrementare il fenomeno anche la triste considerazione che alcuni dei ridiffusori di fake news appaiono in qualche modo anche de-evoluti culturalmente. Nel senso che pur partendo da una buona base scolastica (magari persino una laurea) e pur avendo “esercitato” con l’osservazione e l’indagine negli anni sembrano ora lieti di lasciarsi andare ad una corrente che sospende il loro giudizio critico e li sposta su un piano di minore “fatica” intellettuale.

Ulteriore benzina sul fuoco è poi questa diffusa incultura del fai-da-te in base alla quale, anche in base alla captability e comunque all’uso del computer, siamo tutti tranquillamente in grado di fare quasi tutto. Siamo agenti di viaggio, cuochi provetti, sappiamo curare questa o quella malattia, siamo provetti autisti, sappiamo tutto di una destinazione, sappiamo costruire mobili, siamo tutti grandi comunicatori, persino se volessimo fare i terroristi abbiamo il nostro bravo tutorial che ci permette di fare a meno di istruttori.

Personalmente stiamo reagendo nel modo più ovvio: abbiamo ripreso a leggere i quotidiani. Sì quelli cartacei consapevoli che solo un livello di informazione di qualità ci potrà permettere di arginare questo fenomeno di anarchia dell’informazione dove tutti sono delegittamati e nessuno è attendibile.

E’ una battaglia di civiltà…